Prima di analizzare le novità previste dalla versione definitiva del decreto, è bene ricordare che la prima versione della c.d. “mini Ires” prevedeva una riduzione sostanziosa dell’aliquota Ires (di nove punti) a fronte tuttavia non solo dell’accantonamento degli utili a riserva diverse da quelle non disponibili, ma anche della necessità di effettuare investimenti in beni strumentali nuovi ed assumere nuova forza lavoro in eccedenza rispetto a quelle in essere al 30 settembre 2018.
Vista la farraginosità dei conteggi e del procedimento da seguire, l’articolo 2 della versione definitiva del decreto crescita (rubricato “Revisione Mini Ires”) stabilisce ora che, fino a concorrenza dell’importo corrispondente agli utili d’esercizio accantonati a riserve diverse da quelle non disponibili, e nei limiti del patrimonio netto, si applica l’Ires nelle seguenti misure: 22,5% per il 2019, 21,5% per il 2020 e 21% per il 2021, e, a regime nella misura del 20,5% solamente a partire dal 2022.
Dal punto di vista soggettivo, sono interessate dalla norma agevolativa non solo le società di capitali, ma anche i soggetti Irpef purché siano in contabilità ordinaria.
Infatti, trattandosi di un’agevolazione parametrata al patrimonio netto, sono escluse le imprese che adottano il regime di contabilità semplificata (nonché tutti gli esercenti arti e professioni).
Tenendo conto che il primo periodo d’imposta in cui si applica la riduzione è il 2019, per le società di capitali il primo utile su cui calcolare l’agevolazione è quello che viene accantonato a riserva nel corso del 2019, ossia quello riferito al bilancio chiuso al 31 dicembre 2018.
Ad esempio, per una società di capitali che ha accantonato l’utile 2018 a riserva disponibile per euro 100.000, e che per il periodo d’imposta 2019 dichiarerà un reddito imponibile di euro 150.000 (modello Redditi 2020), l’Ires sarà calcolata come segue: 100.000 x 22,5% (22.500) più 50.000 x 24% (12.000) per un totale di euro 34.500 (ipotizzando un patrimonio netto capiente).
Come anticipato, la quota parte di utili agevolabile deve essere accantonata ad una riserva diversa da quelle non disponibili, per la cui individuazione si deve aver riguardo all’articolo 2, comma 2, lett. a), 34/2019, secondo cui “si considerano riserve di utili non disponibili le riserve formate con utili diversi da quelle realmente conseguiti ai sensi dell’articolo 2433 del codice civile in quanto derivanti da processi di valutazione”. Attingendo da quanto a suo tempo precisato in relazione all’applicazione dell’Ace dal D.M. 14.03.2012 (non più applicabile a partire dal 2019), sono esempi di riserve derivanti da processi valutativi: la riserva utili su cambi, la riserva da valutazione della partecipazione con il metodo del patrimonio netto, le riserve da rivalutazioni straordinarie di beni e le riserve da fair value costituite ai sensi del D.Lgs. 38/2005.
Per quanto riguarda invece l’incremento del patrimonio netto, quale limite quantitativo per l’applicazione dell’agevolazione, la lett. b) del predetto comma 2 stabilisce che l’incremento del patrimonio netto è dato dalla differenza tra patrimonio netto contabile esistente alla fine di ciascun periodo d’imposta, senza considerare il risultato dell’esercizio medesimo ed al netto degli utili accantonati a riserva agevolati negli esercizi precedenti, ed il patrimonio netto risultante dal bilancio al 31 dicembre 2018 senza considerare il risultato dell’esercizio stesso.